sabato 21 giugno 2008
TIVOLI: lo scandalo delle Terme
giovedì 12 giugno 2008
Mai più Terra di Nessuno
Anche l’animale più docile, se in pericolo di vita, mostra i denti e si difende. Ce n’è voluta perché ci fosse un cambio di rotta nella politica sulla sicurezza del nostro Paese, ma alla fine è in procinto di arrivare un decreto governativo che sancisce una svolta in materia. Cambio di rotta che, nella mentalità della gente, aveva già da tempo preso il sopravvento: dimostrazione ne è stata la larghissima vittoria del centro-destra alle ultime elezioni, dopo una campagna elettorale contrassegnata da un forte impegno sui temi della sicurezza da parte del Popolo della Libertà e che sono sempre stati al centro dell’interesse per Azione Giovani. Infatti non c’è Paese in cui si possa dire di essere davvero liberi senza essere sicuri. E per libertà non intendiamo un astratto concetto metafisico, ma il ben più concreto concetto di poter circolare per le proprie città di notte, di poter usufruire dei mezzi pubblici (pagati con le nostre tasse) senza dover tenere le mani su tasche, borse e cartelle, la libertà di essere tranquilli quando i propri figli fanno mezz’ora di ritardo la sera, senza dover temere l’irreparabile. Libertà di essere sicuro nel proprio Stato, nel proprio Paese. Non ostaggi del terrore perché vicino casa nostra hanno messo le tende un gruppo di rom, o perché nella nostra città vagabondano reietti senza nulla da perdere. Certo, non siamo così ingenui da credere che siano solo gli immigrati clandestini a delinquere nel nostro Paese. La repressione del crimine deve essere rivolta verso tutti, Italiani e non. Ma è purtroppo un dato di fatto che negli ultimi anni, in concomitanza con l’aumento dell’immigrazione sregolata e irregolare, ci sia stato un aumento della sensazione di insicurezza della gente, sensazione che si fonda essenzialmente su due cardini: la sfiducia nelle istituzioni (dovuta a sua volta dalla non-certezza della pena per chi delinque e dalla non-presenza dello Stato sul territorio) e la massiccia ondata immigratoria di popoli che, per loro conformazione etnica e storica, non vogliono e non possono adeguarsi al nostro modo di vivere e di vedere il mondo. Inutile sottolineare che il primo pensiero va ai popoli di etnia rom (ma non solo), popolo nomade (o ex-nomade, dato che massicci insediamenti di rom sono presenti in Italia da decenni) che per sua scelta rifiuta il concetto occidentale della cultura del lavoro e del vivere civile, preferendo darsi all’accattonaggio o alla criminalità (scippi, rapine, ecc.) e che vive fondamentalmente in uno stato di totale mancanza di senso civico e anzi ne rifiuta il concetto stesso. L’assistenzialismo e il buonismo dei nostri governanti ha permesso sino ad ora (specialmente a Roma e provincia) il diffondersi a macchia di leopardo di baraccopoli illegali (ma anche “regolari”) che sono terra dello Stato ma al dì fuori del potere dello Stato, dove vivono migliaia di persone senza lavoro, senza domicilio, dei perfetti signor nessuno che escono dall’ombra per trovare il modo di vivere e che nell’ombra ritornano, anonimi. E non credete a chi dice che per i rom non si può fare niente in quanto, essendo in gran parte Rumeni, sono comunitari (non necessitano di visto all’ingresso in Italia quindi): i protocolli di Schengen hanno infatti regolato la questione, nel senso che anche i comunitari, dopo una permanenza di tre mesi in un Paese diverso dal proprio, devono dichiarare domicilio e disponibilità finanziarie e lavorative, pena l’espulsione immediata. Tutta Europa attua questo principio. Solo noi siamo rimasti a guardare. Ma ora non più.
Guardare freddi numeri statistici non aiuta a capire il problema: hanno un bel parlare i buonisti nostrani di calo del numero dei crimini, soprassedendo sul fatto che sono invece aumentati quelli compiuti da immigrati (specialmente clandestini), che sono cresciuti i crimini violenti, che molte persone non escono più di casa o non prendono più i mezzi proprio per evitare anche solo la possibilità di subire aggressioni. Uno stato di paura che non può, non deve durare.
Il decreto del Governo si propone di ristabilire il dominio della legge e la certezza della pena, nonché di considerare reato penale l’immigrazione clandestina: la norma, che ha scatenato le reazioni di ministri benpensanti come quelli spagnoli (ai quali farebbe bene un ripasso delle nozioni di indipendenza e sovranità interna degli Stati dell’Unione Europea), è stata pensata per evitare che il famoso “foglio di via” (cioè l’ingiunzione di lasciare il Paese per chi è stato riconosciuto come clandestino) rimanesse, com’è ora, lettera morta, e pertanto in questo quadro la detenzione non sarebbe altro che il primo passo verso il giusto rimpatrio dell’irregolare. La clandestinità, lungi dall’essere uno “stato di passaggio”, è in realtà un meccanismo illegale che si avvita su sé stesso: chi è in clandestinità è più facile che si indirizzi verso il crimine in quanto già si trova in una posizione al di fuori della legge. E’ quindi d’obbligo fermare chi già compie il primo passo verso crimini più gravi, e non aspettare che questo avvenga, come invece è prassi consolidata in Italia.
Chissà, forse smetteremo di essere considerati l’anello debole del sistema Europa, il “ventre molle” del Continente e la terra promessa di chi vuole vivere senza timore della legge.
Mauro Fantera
lunedì 9 giugno 2008
IL LIBRO DEL MESE: CUORI NERI
“I morti sono tutti uguali”. Quante volte avete sentito ripetere questa frase? Sicuramente moltissime. Ora però vi diciamo una cosa: non è vero che i morti sono tutti uguali. O almeno questa è la morale che ci consegna la Storia della nostra Italia durante i famigerati “Anni di Piombo” , cioè quel periodo in cui per le differenze politiche ci si ammazzava per le vie delle strade. Spesso. Troppo spesso. E ancor più spesso, le vittime di questo scempio erano dimenticate per strada (letteralmente), inghiottite nei vortici della memoria, diventando ombre senza nome, lasciando solo ai loro parenti, ai loro amici, il compito grave di ricordarli. Ricordarli pubblicamente era scomodo, la paura del “diverso” era troppo forte, non si poteva rischiare di farli diventare dei martiri. E allora giù il sipario. Su ragazzi morti nel fiore dei loro anni, uccisi dall’odio prima ancora che dalle pallottole o dalle molotov. La loro colpa? Essere di Destra. Credere in un ideale diverso da quello che imperava in quegli anni. Vittime di una guerra senza vinti né vincitori, e poi ingoiati dall’oblio della Storia.
Il libro di Luca Telese riporta a galla la verità, considerata finora “scomoda”, di quegli anni, dà un volto a quelle vittime e ai loro carnefici, basando però la propria narrazione non su di un punto di vista ideologico, ma su documenti giudiziari e sulle testimonianze di chi, quegli anni, li ha vissuti sulle proprie spalle. La sua è una ricostruzione a 360° di quel ventennio (’70-’80) che molti di noi non hanno vissuto (o erano troppo piccoli per ricordare) e sul quale pertanto è difficile farsi un’idea precisa. Consigliamo il libro proprio per questo motivo a tutti i giovani che vogliano avere un resoconto dettagliato, una visione globale di ciò che investì l’Italia dei nostri padri e delle nostre madri durante quei tempi difficili e spietati.
Mauro Fantera
IL FILM DEL MESE: GOMORRA
Un pugno nello stomaco. Questa la sensazione che abbiamo vedendo Gomorra, film di Matteo Garrone tratto dall’omonimo libro di Roberto Saviano. Come un dolore improvviso, come di un qualcosa che ci colpisce senza che ce l’aspettavamo, eppure sapevamo che poteva succedere, che quel pugno era in agguato nell’ombra, ma non credevamo avesse tanta forza, e soprattutto non credevamo che ci avrebbe colpito.
Un po’ come la Camorra. Abile a nascondersi nell’ombra dello Stato e dell’economia, a sfruttare le “zone di confine” fra un mondo più o meno normale, il nostro, e un altro, fatto di violenza, di scalate per il potere, di traffici illegali, di miti e di leggende. E di paura. La paura di chi vive sotto scacco, sotto tiro, come in una grande guerra senza che però le parti in campo siano distinte e definite, un terreno paludoso e melmoso nel quale puoi affondare ma dal quale puoi, se non hai scrupoli e coscienza, anche emergere per raggiungere vette incredibili, per poi ripiombare ancora giù. Come una grande montagna russa che segna il suo percorso con una scia di sangue.
Gomorra ci racconta tutto questo, e anche molto, molto di più su un sistema, quello camorristico, radicato a fondo a Napoli e dintorni, e che da lì allunga i suoi tentacoli su mezzo mondo attraverso affari illegali ma anche leciti. Ce lo racconta attraverso cinque storie, indipendenti ma accomunate da quell’aura di tragicità, di realismo talmente estremo da sembrare irreale. E’ la storia di un abile capo-sarto che dirige un fabbrichetta di vestiti illegale, ritagliando e modellando falsi d’autore così come capi in nero per le grandi griffe. Quella di un “portasoldi” (cioè chi porta gli stipendi alle famiglie dei camorristi arrestati) e di un bambino delle case popolari, entrambi coinvolti nella faida di Secondigliano che qualche anno fa insanguinò le vie della periferia di Napoli. Quella di un uomo senza scrupoli che gestisce discariche illegali nelle quali finiscono i rifiuti tossici della aziende del Nord Italia. E infine quella di due ragazzi che, abbagliati da film come Scarface e prede di un delirio di onnipotenza, vogliono diventare “signori del crimine fai-da-te” ignorando i rimproveri dei grandi cartelli della Camorra. Il ritratto che ne esce fuori è quello di una città dove regna l’anarchia e i rapporti umani sono sottoposti a quelli di potere, dove lo Stato è assente e chi vive nella legalità è considerato un diverso. Un luogo dove il vizio e il peccato sono il quotidiano, dove nessuno sembra avere la forza o la voglia di cambiare una situazione data per assodata. Una Gomorra dei nostri giorni, appunto.
Dopo l’incredibile successo del libro (oltre un milione di copie vendute), il film ha segnato una ripresa, anche internazionale (Gran Premio della Giuria a Cannes), del cinema italiano, grazie ad un’ottima scelta degli attori, delle luci e delle inquadrature, mentre il parlato (in napoletano stretto con sottotitoli in italiano) restituisce un incredibile sensazione di realismo. Segno che anche il cinema nostrano, quando si emancipa dai suoi stereotipi “culi, tette e costa smeralda”, sa produrre qualcosa di profondo, che faccia riflettere ed emozionare.
Chi ha ingabbiato l'Ara Pacis?
Negli ultimi anni la tendenza urbanistica delle città europee è quella di accostare agli antichi monumenti, che sono testimonianza della magnificenza del "Vecchio Continente", opere moderne, che spesso si trovano in totale disaccordo con l'ambiente e con i complessi architettonici in cui si immettono.Vittima di questa tendenza è stata anche la nostra capitale,crocevia di tendenze artistiche di tutte le epoche; che per la leggerezza delle precedenti legislature trova a oggi uno dei monumenti simbolo dell'antico splendore dell'impero romano "ingabbiato" in vetro,cemento e acciaio.
Stiamo parlando dell'Ara Pacis, monumento che venne costruito per celebrare i trent'anni di pace che Roma visse sotto l'impero Augusteo e inaugurato dopo circa trent'anni di scavi,per riportare alla luce l'altare, nel 1938 per decisione di Benito Mussolini.
Ai tempi dell'inaugurazione l'Ara aveva trovato protezione da variazioni di temperatura, umidità e inquinamento grazie al progetto dell'architetto Morpurgo.Questo progetto si rivelò poco idoneo al compito che doveva adempiere quindi si sentì la necessità di creare una teca che potesse svolgere a pieno questo compito.
Durante il mandato del sindaco di Roma Francesco Rutelli questo problema trovò soluzione nel progetto di Richard Meier, architetto statunitense, ricevette l'incarico dal sindaco , il quale non indisse neanche un regolamentare bando di concorso per l'appalto. Il progetto Meier scavalcò i validi progetti di architetti di fama mondiale come Liam O'connor e Colin Rowe. Per questo motivo la scelta di attribuire al Meier il progetto venne percepita da molti l'ennesima azione megalomane del sindaco.
Attorno a questa scelta nacquero molte polemiche portate avanti soprattutto dal neo-sindaco di Roma Gianni Alemanno, il quale anche nel 2006 quando era candidato della Cdl per le comunali aveva manifestato la volontà di 'liberare' L'Ara Pacis dalla 'gabbia' di Meier.
Ancora oggi questa volontà rientra nel progetto politico di Alemanno il quale ha dichiarato che cercherà l'appoggio dei cittadini attraverso un referendum, che li renderà in grado di stabilire o meno se la teca potrà essere rimossa e portata alla periferia romana in accordo con il desiderio del sindaco,il quale ritiene la teca uno 'sfregio' architettonico ma dice si alle opere moderne a patto che non siano decontestualizzate.
La teca di Meier presenta invece non pochi problemi; primo fra tutti proprio la decontestualizzazione ambientale. Infatti, a causa delle sue enormi dimensioni (otto metri più alta dell'Ara Pacis!) rende impossibile la visuale della chiesa del Valadier e del post stante mausoleo di Augusto, impedendo quindi a due importanti opere d'arte di trovare la loro giusta espressione e visibilità.
Altri sono i problemi che circondano la teca, stavolta di carattere architettonico: sono,infatti, molto deboli le fondamenta, che richiederebbero un intervento tempestivo impossibile in quanto al di sotto del complesso dell'Ara Pacis si trova il settecentesco porto di Ripetta, il cui rinvenimento entra nel progetto urbanistico del neo -sindaco del PdL.
Il progetto di Alemanno è stato condiviso da molti architetti come Massimiliano Fuksas o da famosi critici d'arte come Federico Zeri, che con ironia afferma: “Meier conosce Roma come io conosco il Tibet!” (parole di un uomo che non ha mai visitato la regione asiatica!) o il più noto Vittorio Sgarbi che definisce la teca un crimine contro l'umanità da fermare a tutti i costi! Anche l'ex assessore alla cultura del Comune di Roma Nicolini si schiera contro l'opera del Meier definendola “la peggiore che l'architetto potesse escogitare”.
Il mondo dell'arte ha quindi preso una posizione molto netta schierandosi per la maggior parte a fianco del neo sindaco, del quale attendiamo la realizzazione di un completo progetto politico con vari interventi più o meno prioritari.
Serena Porcari
venerdì 6 giugno 2008
Università: Trionfa il centro-destra
Un risultato storico per Azione Universitaria, ramo accademico di Azione Giovani. Nelle elezioni per gli organi accademici svoltesi a Tor Vergata ed a Roma 3, le liste dei giovani di destra ottengono la maggioranza e piazzano propri uomini in tutte le facoltà.
A TOR VERGATA le liste che fanno riferimento al centro-destra ottengono il 48% dei voti, contro il 40% delle liste del centro-sinistra. Sui 7 giovani eletti nel Senato Accademico, Azione Universitaria (AN) ne elegge 2 ed altri 2 vanno all’area moderata ed indipendente del centro-destra. 2 rappresentanti vanno al raggruppamento del centro-sinistra ed uno all’UDC. L’estrema sinistra è uscita dalla rappresentanza nel Senato Accademico e non sfondano le altre piccole formazioni. Come alle recenti elezioni politiche ed amministrative della città di Roma, gli studenti hanno fatto una scelta netta e di campo. “Viene premiata, ancora una volta, l’azione di chi opera quotidianamente nelle Facoltà da studente, per gli studenti, con gli studenti”. Così Sandra Silvestri neo-rappresentante degli studenti nel Senato Accademico di Tor Vergata e Luciano Cavaliere Dirigente Nazionale di Azione Universitaria.
A ROMA TRE Azione Universitaria è prima lista con 1580 voti ed il blocco studentesco delle liste che fanno riferimento al centro-destra ha ottenuto il 53,8% dei voti contro il 44,8% di quelle liste del centro-sinistra che l’ultima volta avevano preso oltre il 60% dei consensi (-15%) e che in precedenza avevano ottenuto oltre il 70%.
“È un successo netto e significativo – dicono Mauro Massini neo-eletto rappresentante degli studenti nel Consiglio di Amministrazione e Andrea Volpi Capogruppo del Centro Destra Universitario nel Consiglio Nazionale degli Studenti Universitari - perché ottenuto in un’Università dove, ideologicamente, hanno provato ad imporre il boicottaggio della Coca Cola e hanno vietato una mostra per ricordare le vittime Foibe, nonché hanno concesso spazi ed opportunità solamente alla Sinistra studentesca calpestando ogni forma di pluralismo. I giovani hanno scelto il cambiamento e premiato l’azione di chi opera quotidianamente nelle Facoltà e si batte contro l’ingiustificato aumento delle tasse, i parcheggi a pagamento e la chiusura dei bar, anche in modo goliardico. Da oggi puntiamo a rinnovare l'Ateneo di Roma Tre, per dare impulso al processo riformatore dell'amministrazione e della didattica, per migliorare sensibilmente l'offerta di servizi per gli studenti e per ottenere più spazi da destinare ai giovani e alla vivibilità dell'Università”.
Maurizio Guccini
Alemanno vince, Roma volta pagina
Roma 27 e 28 Aprile 2008, la Storia ancora una volta passa da Roma e percorre la città eterna. Si! Questo è quello che è venuto in mente a tutti noi mentre aspettavamo i risultati del ballottaggio che doveva rivelarci chi sarebbe diventato il nuovo sindaco della Capitale. E così trepidanti abbiamo appreso che questa volta ce l’abbiamo fatta, che il centro-destra, ma ancor di più la destra e Alleanza Nazionale, sono tornati al governo della città dopo 60 anni. Un risultato storico, quello ottenuto da Gianni Alemanno, un risultato dettato dalla passione e dall’impegno che ha messo in questi anni di opposizione, in questi anni dove ha lavorato molto sul territorio, lui come tutti i consiglieri di AN. Ma andiamo con ordine, dopo la nascita del PD e la caduta del governo Prodi, Roma era rimasta senza sindaco (oddio non è che prima ce l’avesse, ndr), e per forza di cose si è dovuto ricorrere a nuove elezioni, fra i vari candidati alla poltrona di sindaco spiccavano soprattutto 3 nomi quello di Rutelli, quello di Storace e quello del “nostro” Gianni Alemanno. La sfida come sempre si è presentata molto dura, anche se in realtà nessuno avrebbe voluto nuovamente Rutelli alla guida della città, ma la presenza di Storace aveva impensierito i più. Notiamo subito però che qualcosa si muove che il vento a Roma sta cambiando e infatti al primo turno Rutelli non raggiunge il fatidico 50% + 1 che gli permetterebbe di evitare il ballottaggio, ma si ferma al 46%, mentre Alemanno vola al 41% e Storace, dopo le sue tante chiacchiere, rimane ancorato al 3,3%. Si va dunque al ballottaggio, e iniziano i soliti teatrini degli apparentamenti e delle calunnie. La sinistra infatti, soprattutto quella radicale, fa una campagna denigratoria nei confronti del nostro Gianni senza precedenti, arrivando addirittura a chiedere un voto antifascista anzichè un voto al proprio candidato, che nel frattempo continua il suo giro di apparentamenti. Il PDL al contrario non accetta ricatti, non accetta apparentamenti e , coerente con la linea nazionale, decide di presentarsi da sola anche al ballottaggio. Questa scelta sarà premiata dai cittadini romani che il 27 e 28 Aprile decidono di non partire, di non approfittare del ponte, e di andare a votare, a votare per colui che più di tutti ha dato fiducia al popolo romano, Gianni Alemanno, che trionfa con il 53,7% delle preferenze contro il 46,3% di Rutelli. Appresa la notizia iniziano i festeggiamenti per questo risultato storico, che premia, dopo 60 anni, una destra che è stata capace di scrollarsi di dosso i “fantasmi del passato”, e con tanto lavoro, impegno e spirito di sacrificio, ha saputo conquistare quella fiducia che per troppo tempo è mancata.
Noi di Azione Giovani Fonte Nuova-Mentana possiamo solo essere orgogliosi di questo risultato, anche se poi in realtà ci sfiora solamente, perchè è stata la dimostrazione che solo con il sacrificio e l’impegno si può ottenere un grande risultato. Rinnoviamo i nostri auguri di buon lavoro al Sindaco di Roma, Gianni Alemanno, e siamo convinti che grazie a lui si è aperta una nuova Storia a Roma.
Filippo Antonuccio
La marcia sulla via del risanamento
Il risanamento continua…
Dopo l’avvenuto dissesto finanziario, nel nostro bel comune, sono ancora tanti i nodi da sciogliere nelle finanze. Primo fra tutti sicuramente “O carrozzone all’italiana” chiamato Ge.Se.Pu., che l’allora sindaco di centro-sinistra Cignoni pose in essere. Un bel problema, ma soprattutto un guaio da cui è quasi totalmente impossibile uscire visto il contratto trentennale, ma
… la soluzione al problema c’è,anzi sono addirittura due! Ma in quale modo?
Beh onestamente il centro-destra di Mentana, insieme al suo Sindaco, sono maturati in questi anni e hanno saputo anche cambiare alcune prospettive di veduta su delle tematiche nevralgiche per la vita del nostro comune. E’ proprio da qui, che troviamo le due soluzioni per risolvere il problema. Si è cambiato il punto di vista! “Cioè?”,vi starete chiedendo. E’ vero che “o carrozzone” ha trent’anni di contratto, ma i proprietari de “o carrozzone” chi sono? NOI! E’ questo il punto fondamentale della vicenda. Finalmente i due Sindaci delle due città (Mentana e Fontenuova) che detengono il 25,5% delle azioni ciascuno, hanno iniziato a comunicare facendo votare i patti parasociali (precise regole scritte che regolarizzano il comportamento di due soci all’interno di una società) nei rispettivi consigli comunali (N.B.: a Fontenuova la minoranza di centro-destra si è espressa a favore votando l’adozione di tali patti, nell’interesse della collettività, mentre a Mentana la minoranza di centro-sinistra ha fatto la sua classica opposizione sterile senza tener conto del bene dei cittadini) pur essendo di fazione politica opposta. A tal punto è giusto affermare che c’è stato il trionfo dei due soggetti principali di questa vicenda: i cittadini e la Ge.Se.Pu..
Perché anche della Ge.Se.Pu.? Perché finalmente il privato è tornato a gestire solo il 49% delle azioni e non più ad avere l’egemonia di un’intera s.p.a. creata con i nostri soldi, quindi torna alla luce la ragion d’essere dell’azienda: il comune e i cittadini devono essere innanzitutto proprietari e quindi gestori dell’azienda stessa, e solo poi suoi clienti.
Questo è il punto da cui ripartire. E da qui si hanno le due soluzioni: la prima è da proprietari, e consiste nel non escludere a priori la possibilità di lanciare finalmente Ge.Se.Pu. e farla tornare con buone attività di bilancio, lasciando però aperta l’alternativa della vendita o della chiusura dell’azienda; la seconda, da clienti, è quella di cercare di rinegoziare il contratto oppure di rescinderlo totalmente.
Questa possibilità di vedere la questione sotto due differenti punti di vista, finora è stato uno svantaggio perché l’amministratore delegato e il cda (coloro che prendono le decisioni) all’interno dell’azienda coincidevano con la parte privata, oggi invece con questa nuova consapevolezza delle nostre possibilità e del nostro peso all’interno dell’azienda e fiduciosi della durata eterna dei patti parasociali, possiamo rovesciare la situazione e prendere NOI come cittadini di Mentana e Fontenuova la decisione di che cosa fare di Ge.Se.Pu., tenendo bene a mente però il capitale investito inizialmente.
Certi dei nostri mezzi e con la speranza di non dover più ereditare simili oneri, figli del malgoverno delle amministrazioni precedenti, guardiamo con rinnovata consapevolezza al futuro.
Marco Piergotti
Fonte Nuova: uno su dieci è straniero
Fonte Nuova al terzo posto per incidenza della popolazione straniera
Sono tanti,troppi,sempre più. Secondo gli ultimi dati Istat, presentati a gennaio 2007 , gli immigrati residenti in provincia ammonterebbero a 278.540 , anche se la caritas fornisce dati diversi secondo i quali i residenti “censiti” salirebbero a 431.518 unità ( più del doppio!!). Il comune di fonte Nuova si colloca al terzo posto per incidenza della comunità straniera, stimata dalla caritas al 10.3% (contro un 5% nazionale). E questi dati riferiscono solo degli immigrati regolari ( leggi controllabili) e non tengono conto della più grande fetta di stranieri clandestini. Una realtà agghiacciante, troppo spesso denunciata, da cui i più intendono liberarsi. E in fretta. Questo continuo vagabondaggio, questo continuo accattonaggio a cui giorno e notte assistiamo non è certo la migliore immagine di un comune che sembra stanco, nemico di sé stesso, desideroso di annientarsi nella spaventosa utopia della società multietnica. Con scarsi risultati. Basta pensare alla scazzottata che c’è stata nei giorni scorsi nei pressi di un bar a Tor Lupara dove Italiani e stranieri di origine rumena (tutti allegramente ubriachi) sono venuti alle mani. Alla faccia dell’ integrazione!! Intendiamoci subito, qui non si tratta di una intrinseca negatività dello straniero e della sua cultura (accettiamo il lavoratore straniero al pari dell’italiano, il contribuente a prescindere) la questione è tutt’ altra: un gruppo per esistere presuppone coesione e compatibilità dei suoi membri, identità di lingua (non può esservi un gruppo laddove gli individui non siano in grado di comunicare tra loro), un’etica comune condivisa in cui tutti si riconoscono e che ne costituisce il fondamento (riesce difficile ad esempio immaginare una comunità coesa che sia veramente tale in cui alcuni individui praticano la poligamia ed altri la considerano un peccato mortale), una comune storia di cui tutti si sentano eredi e che permetta ad ogni individuo di riconoscersi nell’ altro. Ma il dato che traspare è ben diverso da questa lontana utopia. Di certo Fonte Nuova ben rappresenta il disagio di un integrazione non riuscita, di un conflitto, ormai endemico, tra i cittadini e quelli che ora sono visti come “i diversi”, mentalità, questa, frutto di anni di politiche sbagliate a livello nazionale. Molte, troppe lamentele ci giungono di genitori che, lamentando carenze di parchi (attrezzati per bambini) a Fonte Nuova, denunciano che uno di questi, sito nella zona di Santa Lucia è divenuto ormai da anni “il dormitorio” di una massa di stranieri sbandati, spesso privi di documenti che trascorrono le proprie giornate ad ubriacarsi in attesa che qualcuno li ingaggi per un lavoro. Il punto è proprio questo: molte di queste persone sono letteralmente indotte ad emigrare da un condizionamento mediatico, che li attira col miraggio di un benessere troppo spesso precario se non addirittura virtuale per molti degli Italiani stessi, abbandonando le loro terre per intraprendere viaggi disperati alla ricerca di “eldorado” immaginari che li condurranno nei migliori casi ad ingrossare quei serbatoi di disagio sociale che sono i quartieri, le periferie. La soluzione è dinanzi gli occhi di tutti: che entrino solo gli stranieri che siamo davvero in grado di integrarsi, di formarsi ed immettersi nel mercato del lavoro al fine di garantire ad essi ed alle loro famiglie un esistenza libera e dignitosa. Perché è quantomeno ovvio che tutti coloro che non trovano lavoro prima o poi si ritroveranno a delinquere per procacciarsi da vivere. In aggiunta occorre evitare che questi diventino null’ altro che delle marionette in un orrendo spettacolo organizzato da altri. E sono questi altri cui l’ immigrazione fa comodo che devono essere i veri destinatari dei nostri attacchi. Sono tutti coloro che abbisognano di manodopera a basso costo e senza salvaguardie, chi gestisce loschi traffici e necessita di manovalanza cui affidarli, i partiti della Sinistra e i Sindacati che leggono negli immigrati nuovi consensi e nuovi disagi da rappresentare. Più in generale tutti quei teorici e cospiratori che vedono nella globalizzazione senza freni lo strumento per creare quel “mondo perfetto” composto da una massa informe e senza identità di individui alla loro mercè. Al loro progetto di una terra abitata da tribù di differenti etnie (garanzia del loro totale controllo) noi opponiamo la costruzione di un popolo unito e fiero.